Florence
Stefania AuciColline galleggiano come isole in un mare grigio, imprigionate dalla foschia che ristagna tra le valli silenziose. Corvi e gazze ladre si muovono rapidi tra i rami degli alberi, si tuffano sui campi, arati da poco. Nelle vigne, tralci dai rami contorti si tendono contro il cielo; foglie d’oro e ruggine si accartocciano e cadono a terra. Folate improvvise le trascinano via, le affastellano lungo i solchi della strada. È un autunno, questo, che ha il volto dell’inverno. Impietoso, freddo, morde la carne e riempie l’aria di odore di camino e legna bruciata. Il chiarore dell’alba non riesce a spezzare la coltre di nubi che gravita su quella collina poco distante da Greve. Le nuvole sono così basse e dense che si potrebbe toccarle, quasi affondarci dentro. Neanche il vento che soffia radente e spazza la stradina di ciottoli riesce a spostarle. Sull’altura sorge un grande casale. Dal tetto si innalza una torre di mattoni con i merli sbrecciati. Il fantasma di una luce trapela da una finestra.